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22-3-3309. Verità.

26 Mar 2023Emma Adama
TolaGarf's Junkyard. Stazione dal nome impronunciabile che suggerisce quali necessità abbiano spinto a scavare l'asteroide che la ospita. Non ho mai veramente amato questo genere di spazioporti. Essendo un asteroide l'involucro che la contiene, gli spazi all'interno sono piuttosto ristretti e solitamente non si tratta di ambienti puliti e lussuosi come le normali stazioni orbitali. Penetrata la buca delle lettere si nota immediatamente che c'è qualcosa che non va. Di solito in queste umide e fredde caverne si viene accolti da una moltitudine di accecanti lampeggianti arancioni tipici dei cantieri ma in questo caso sono tutti spenti. Anche l'illuminazione generale è per lo più spenta, salvo qualche lampada sparsa qua e là. Nessuno ci accoglie dalla torre di controllo ma non credo sia da attribuirsi ad una svista dell'ATC. Troviamo che uno solo dei pad di attracco dà segnale di essere attivo e ci dirigiamo lì. L'interfaccia si collega alla nave come farebbe normalmente ed è un segno positivo. La nave viene agganciata al pad e questo si abbassa portandoci all'interno dell'hangar senza effettivamente ricevere il comando da parte nostra.
Questo è molto meno rassicurante. Saliamo con gli ascensori che dagli hangar portano nei meandri della stazione e ad accoglierci c'è uno scenario del tutto inaspettato.
Ciò che rende inquietante la scena è la totale assenza di vita. Nessuno alla dogana che ci chieda i documenti, nessuno che tenti di venderci prodotti della cucina locale o abiti dal taglio tipico della zona. Non c'è l'ufficiale a cui rivolgersi per riscuotere le taglie né l'addetto ai trasporti dell'Inter Astra. La stazione è lurida, come ci si poteva aspettare, ma sono presenti i soliti chioschi tipici di qualsiasi spazioporto e nulla fa pensare che sia abbandonata o... peggio...
La pavimentazione è resa scivolosa dal lerciume che gli operai si portano dietro dopo il lavoro e, ci scommetto una bottiglia di whisky alla bertrandite, anche prima e durante. Le paratie non sono state risparmiate. Le impronte suggeriscono che gli uomini e le donne del posto siano soliti poggiare mani e schiene trasferendo i resti della lavorazione giornaliera che, se non altro, così non si portano dritti a casa. Le luci sono spente anche qui, con le solite rare eccezioni. Accendiamo le torce e ci scambiamo un rapido sguardo. Tacitamente conveniamo che sia opportuno togliere la sicura alle armi. Sotto la giacca sento il peso del diario, bilanciato dall'altro lato da un paio di caricatori per la pistola. In lontananza, attutito dalle paratie dello spazioporto, si sente un rumore di musica misto a quello del vociare di una folla. Mi avvicino ad uno dei terminali. Non permette l'accesso senza un datapad attivo da collegare che scambi informazioni quali le generalità dell'utilizzatore, pertanto decido di attivare il mio e collegarlo alla rete locale. Dopo un veloce caricamento il terminale infine si collega.

"Bentornata, Adama M."

Cominciamo male, veramente male.
Bentornata un corno. È la prima e giuro su Kobol l'ultima volta che metto piede in questa latrina e vorrei precisare che hai fallito l'identificazione. Già, ed io che voglio ragionare con un terminale guasto... Mi sto incazzando al punto che sto per colpire lo schermo con il calcio della pistola.
La mia rabbia viene repressa dal datapad, che inizia a suonare. È arrivato un messaggio.

"Non perdere tempo con quei vecchi terminali. La senti no? Raggiungimi."

Maledetta stronza.

Tanner e Davenport sono con me, insieme a Kensi che ha insistito per esserci nonostante le avessi chiesto di rimanere a bordo della Entropy. Faccio cenno agli altri di incamminarci verso la musica ma nuovamente arriva un messaggio.

"Da sola"

E va bene. Non ha specificato se posso portarmi l'arma, quindi nascondo la pistola nei pantaloni e lascio lì la fondina. Chiedo ai ragazzi di rimanere in attesa, di stare pronti e di collegare i loro datapad alla rete in modo da poter comunicare.

Arriva un altro messaggio.

"Non serve nascondere l'arma. Puoi portarla, comunque non ti servirà"

Maledico lei e gli dei di Kobol e me stessa per non aver pensato all'ovvietà di essere osservata. Raccolgo sbuffando la fondina da terra e rimetto l'arma nel suo alloggiamento. Kensi insiste per accompagnarmi. Sparo un colpo in aria per chiarire il mio stato d'animo. Mi incammino, da sola, per il lungo corridoio da cui provengono i rumori. Il corridoio è interminabile, è umido e odora di urina. La luce qui è assente e ci sono fumi provenienti dall'altro lato a vanificare quasi del tutto la funzionalità della torcia. Urto qualcosa con un piede. Mi abbasso a guardare e vedo un uomo seduto a terra, con la testa penzoloni, una bottiglia di whisky di Lave rovesciata e una pozza di vomito. Ha polso e respira. Lo lascio al suo destino, che suppongo non sarà dei migliori. Quel whisky fa schifo, l'ho sempre detto e lui me ne dà conferma dal suo stato comatoso.
Da qui si inizia a sentire distintamente l'odore dell'Onion Head bruciato.
Una nota positiva finalmente.
Le paratie del corridoio riportano annunci pubblicitari ogni cinque metri circa. Siamo una società di cretini.
Da entrambi i lati ci sono stretti portelli, alcuni riportanti il simbolo dei bagni, altri conducono in zone non esplicitate della stazione. Decido che non sono cazzi miei e continuo a camminare. Dal fondo inizia ad irradiarsi una luce, cangiante, rossa poi blu, verde, arancione, viola. La musica aumenta di volume man mano che mi avvicino. Il mio compleanno è passato da un po' ormai, Umbra non avrebbe dovuto scomodarsi... Le farò presente che sono più intenzionata a forarle il cranio che a spegnere candeline. Il corridoio finalmente termina in un'ampia sala che mi ricorda il bar di Cabrera's Claim, l'Afterlife.
Una sala immensa con il bar nel mezzo e piattaforme ellittiche che si ergono tra i tavoli. Sulle piattaforme la gente balla in maniera tra il provocante e l'osceno. La musica proviene dal soffitto, dove giganteschi speaker sono sorretti da catene che da un veloce esame appaiono affaticate. Starò attenta a dove metto i piedi.
Non c'è un solo tavolo libero. La gente è ovunque, molti riversi al suolo per aver bevuto e fumato in eccesso. Non c'è una sola guardia ma d'altronde nessuno sta creando problemi. Sembrano in trance. L'odore di Onion Head è fortissimo ma è anche l'unica nota piacevole in un luogo altrimenti disgustoso. Certo, a Cabrera ci davamo dentro io e Lux a somministrare bertrandite per tenere la popolazione sotto controllo, ma in confronto Umbra potrebbe tenere un corso di scienze politiche a Vincika...
Mi guardo intorno cercandola in quel marasma di corpi che si strusciano e gente che urla dai tavoli. Mi accorgo che anche la stanza ha forma ellittica e da un lato, sorretta da colonne, si erge una struttura a cui si accede da scale laterali. Tutto rigorosamente con forme ellittiche.
Tutt'altra sostanza l'Afterlife...
Da qui non si vede nulla di cosa e chi si nasconda lassù nonostante il parapetto sia costituito da una bassa vetrata. A guardarla bene è una doppia vetrata. Un acquario con dentro animali e alghe esotici.
Che sbruffonata.
Molto bene, è chiaro dove devo andare ma raggiungere la scalinata è reso arduo dalla moltitudine di degenerati. Passando li scosto sfoggiando tutta la mia affabilità e qualcuno cade a terra. La gente ride quando vedono che spingo con forza chi mi si para davanti. Alcuni mi fissano dritto negli occhi. Hanno le pupille completamente dilatate e coperte da una patina giallastra. Che diavolo...?
Raggiungo le scale trattenendo la nausea per lo spettacolo osceno di cui mi trovo ad essere protagonista involontaria. Una volta in cima vengo accolta dall'indifferenza. Diverse guardie sono posizionate sul perimetro del parapetto in vetro. Si girano a guardarmi. Sembrano nel pieno delle loro facoltà. Meglio. Iniziavo a sentire la mancanza e al contempo la necessità di un bersaglio capace di intendere e di volere. Al centro della balconata vi è un divano di forma semi ellittica. A completare il disegno ovale ci sono alcune poltrone ed un tavolino, anch'esso ovale, è posizionato al centro della composizione. Sul tavolino sono poggiati disordinatamente calici e boccali, riviste ed il necessario per preparare l'Onion Head. Le guardie rivolgono un cenno alla persona seduta sul divano, che dalla mia prospettiva è di spalle, le braccia ad occupare una massiva porzione di schienale. La donna fa un cenno che traduco con "lasciate stare, va bene così". Visto che non ricevo un ulteriore invito formale decido di andarmi a sedere sulla poltrona esattamente di fronte alla donna. Ha una carnagione scura, capelli neri come lo spazio interstellare e occhi di ghiaccio, sia nel colore sia per la profondità con cui ti scruta. Sedendomi estraggo l'arma al plasma e la posiziono platealmente sul tavolino con la canna rivolta verso di lei e il calcio verso la mia destra, pronta ad essere impugnata per praticare un vasto pneumotorace al primo che aprisse bocca.
Che sbruffonata.
Ad uno ad uno rivolgo lo sguardo agli scimmioni che controllano la sala. Alcuni sorridono, forse perché hanno già visto queste scenette. Rispondo al sorriso e sarà che non se lo aspettano, o forse capiscono che non sono dell'umore adatto, sta di fatto che abbassano lo sguardo. Altri sembrano tesi, probabilmente perché nessuno è mai arrivato a minacciare così vistosamente la loro padroncina e non sanno come comportarsi ma sicuramente capiscono che la loro vita è appesa ad un giro di roulette russa con una pistola, la mia, completamente carica.
La donna fa un cenno con la mano mentre continua a guardare un punto fisso dietro di me. Le guardie, più o meno consapevoli di aver guadagnato qualche altro minuto di vita, se ne vanno, chi vistosamente dispiaciuto perché pensa di perdersi un bello spettacolo, chi con la coda tra le gambe, grato di potersi perdere lo spettacolo.

Le chiedo se lei è Umbra.
Non risponde.

Le chiedo se sa qualcosa di Monica.
Non risponde.

Le chiedo percheccazzo mi abbia convocato.
Non risponde.

Decido che è ancora presto per iniziare una strage e così mi metto anch'io comoda sulla poltrona, con le gambe accavallate a dimostrare quanto mi senta a mio agio.
Che sbruffonata.
Dopo alcuni minuti volge lo sguardo verso di me. Devo ammettere che fa paura. Alzo le spalle, come a dire "beh? Ci diamo una mossa?"
Abbozza un sorriso. Mi chiede di posare il diario sul tavolino. Non so come faccia a sapere che lo porto con me ma non faccio domande. Non amo quando non mi si risponde, perciò mi limito ad assecondarla. Mi accorgo solo in quel momento che, poco distante sul tavolino c'è uno specchio, come quello che tengo nella scrivania nei miei alloggi sulla Entropy. Fisso la donna negli occhi anche se questo significa dover tenere a bada i brividi di freddo che si stanno facendo strada lungo la spina dorsale. Mi accorgo che i suoi occhi compiono movimenti quasi impercettibili, estremamente precisi, che se osservati con attenzione possono essere letti come il labiale. Sta osservando me, sta scrutando, no, sta mappando ogni singolo aspetto del mio volto. Leggere il suo sguardo mi provoca una leggera e fastidiosa emicrania. Fissa il mio occhio destro per diversi minuti, poi ne spende altrettanti sul sinistro, come a cercare ogni differenza tra i due. Asimmetrie, immagino. Poi il suo sguardo solca il bordo più esterno dei miei occhi, verso le tempie. Sembra che stia seguendo il profilo di rughe che so benissimo di non avere. Il suo sguardo indagatore passa sulla mia fronte, ma non segue il profilo delle ciocche che mi scendono dai lati. Non sembra vederle ed in compenso pare seguire una linea quasi dritta, come una frangia. Posa lo sguardo sul mio collo, sul lato sinistro, a seguire una linea frastagliata che non saprei identificare. Cazzate.
Prendo lo specchio. L'immagine è sempre quella: una giovane donna bionda dagli occhi castani. Mentre osservo l'immagine riflessa, come d'istinto e senza accorgermene passo la mano sul collo e sento scorrere sotto le dita un rilievo. Una cicatrice. Porto le dita all'altezza dell'occhio. Sotto il polpastrello sento chiaramente dei solchi, come rughe, dividersi in tre diverse traiettorie brevi che terminano verso la tempia. Qui mi aspettavo di sentire le ciocche bionde, ma non ci sono. La donna mette su un'espressione che traduco con gioia. Ho capito cosa voleva dirmi. Una profonda e spaventosa consapevolezza si sta impadronendo di me.
Passo la mano sulla fronte e la trovo coperta dai capelli, tagliati in linea retta all'altezza delle sopracciglia a formare una frangia. Lo specchio insiste nel mostrarmi tutt'altro rispetto a ciò che il tatto suggerisce.
Sbatto lo specchio sul tavolino, mandandolo in mille pezzi.
Non capisco cosa stia succedendo e non mi piace essere qui.
In una frazione di secondo l'universo si immobilizza ed io, presa dalla rabbia, estraggo la penna dal diario per avventarmi sul collo di Umbra. Lei non sembra turbata, ma ansiosa di vedere il finale di una tragedia annunciata. Con il pollice premo il pulsante che fa fuoriuscire la punta della penna così da avere un'arma adeguata a bucarle la gola. L'afferro per i capelli ma un suono alle mie spalle mi blocca poco prima di compiere l'infame gesto. Mi giro e vedo che la copertina del diario non è più serrata. Premo nuovamente il pulsante ed il diario si chiude. Osservando meglio la penna mi rendo conto che c'è una piccolissima e acuminata puntina che ad ogni pressione si infila sotto la pelle. Evidentemente è un sistema di blocco biometrico. Umbra mi guarda con soddisfazione mista a delusione, come a dire "ce l'hai fatta, razza di cretina. L'hai avuto tutto il tempo sotto gli occhi". Non ha mai cambiato la sua posizione sul divano, con le braccia larghe sullo schienale. Mi fa cenno di raccogliere le mie cose ed andare. Non me lo faccio ripetere, ma prima di andare le chiedo perché ha ridotto tutti gli abitanti della stazione in quello stato. È una voce bassa la sua, gutturale, di chi ne ha viste tante, ha vissuto troppo e troppo a lungo e fuma come una disgraziata. Mi risponde che non è la normalità, che lo ha fatto per me. Perché qualsiasi decisione prenda ora, nessuno avrà il ricordo del mio passaggio. E perché in quello stato si aspetta che non faccia loro alcun male. Beh, ha giocato d'azzardo.
Pochi minuti dopo sono fuori dal corridoio che mi ha condotto in quella sala orrenda. Faccio cenno ai presenti di non fiatare e seguirmi.
Di ritorno sulla Entropy mi chiudo nei miei alloggi ed apro il diario.

"5-9-3307

Ricordati di me, Monica, perché oggi verrai dispersa tra le stelle ma sarai presto chiamata a tornare e quel giorno tu ed io avremo bisogno di essere lucide.

Oggi mi sarà assegnato il ruolo di governatrice del sistema in cui sono nata e cresciuta.
Oggi avrà inizio una menzogna subdola ma necessaria.
Una menzogna di cui io sarò madre e tu angelo della morte.
Una menzogna il cui peso è per me insostenibile dal momento in cui si è resa necessaria.
Una menzogna a cui non posso voltare le spalle.
Tu avrai scritto le pagine che da oggi porteranno al giorno in cui ti troverai a leggere queste che ora io scrivo, ma ci sono altre pagine a cui non ho saputo oppormi che hanno portato me qui, ora.

In questo diario, nelle sbiadite pagine che stai per leggere si cela tutta la verità. Mi impegno a riportarla così come si è rivelata a me.

Prima di andare avanti siediti, Monica, perché ti conosco e so che ti inizieranno a tremare le gambe.

Quella notte te ne sei andata in soffitta a studiare perché le liti avevano raggiunto una meschinità ed una violenza che il tuo cuore non era in grado di reggere. Quella notte te ne sei andata a rifugiarti nei tuoi libri e hai abbandonato tua sorella a sé stessa. Due ore dopo l'hai trovata che dormiva. Aveva stampata sul volto l'espressione di chi ha bisogno di dimenticare in fretta. In sala hai trovato il vecchio Olaf ed i corpi dilaniati dei vostri genitori. Vostra madre era stata pugnalata cinque volte alla schiena e vostro padre aveva la gola tagliata. Un taglio netto e profondo, quasi quanto quello che ha provocato la cicatrice che tu stessa porti al collo e di cui è artefice la stessa mano.
Quando anche Emma si svegliò tu avevi già smesso di piangere ed avevi preso l'amara decisione di andartene. La abbandonasti due volte in una sola notte.
Non versò una lacrima, ennesima riprova di avere ereditato la freddezza da vostro padre.
Olaf raccontò cio che aveva visto agli agenti della sicurezza.
No, Olaf mentì.

Venti anni dopo, circa cinque settimane prima che queste pagine venissero scritte, tua sorella ti contattò e ti chiese di incontrarvi. Tu eri a Colonia a discutere i tuoi studi con una donna straordinaria il cui potere risiede nelle informazioni.

Partisti immediatamente.

Tua sorella arrivò trasportata da una nave di linea, dalla quale si trasferì sulla Delacy Krait Phantom che pilotavi al tempo.
Aveva gli occhi rossi di chi ha pianto per la prima volta liberandosi in un solo momento del peso di una vita intera.
Ti raccontò di come si sentì isolata quando tu fuggisti in soffitta e di come, pietrificata, rimase a guardare i vostri genitori litigare.
Ti raccontò di come andò in cucina, prese il coltello più grande che riuscisse a brandire e come una dea del gelo, silenziosamente pugnalò cinque volte vostra madre nella schiena. Ti raccontò di come si voltò verso vostro padre e con un gesto fulmineo e rapace gli procurò la profonda ferita al collo.

12 anni.

Emma aveva 12 anni quando tolse la vita ai vostri genitori.

Ti chiese di perdonarla ma tu seppi solo voltarle le spalle. Non potevi credere che per venti anni ti avesse tenuto all'oscuro. Venti anni che hai passato a cercare un colpevole. Venti anni fa l'avresti compresa e perdonata. Cinque settimane fa seppi comprendere, ma non perdonare.
Non hai perdonato il suo silenzio. L'avresti aiutata, l'avresti protetta.
Ti illudi che sarebbe andata così, ma la verità è che l'hai abbandonata una terza volta quel giorno. Fu troppo.
Emma pianse pregandoti di starle vicino, tu la allontanasti. Si mise a urlare, a tremare... Non poteva accettare il tuo rifiuto. E non lo accettò. Con il suo coltello ti ferì al collo come fece con Klaus venti anni prima. Cadesti a terra. Ancora oggi mi domando se fosse consapevole di aver inferto una ferita non mortale... La guardasti prendere la sua pistola al plasma, quella che oggi porti al tuo fianco, e usarla per togliersi la vita. Non disse una parola prima di compiere quel gesto liberatorio.

Il dolore fu straziante. Lo fu quel giorno e parimenti lo è ora che riporto tutto su queste pagine. Non potevi semplicemente fingere che non fosse accaduto nulla e andartene.
Niu Hsing attendeva il rientro di Emma per la cerimonia di insediamento che avverrà tra poche ore.

Il minimo che possa fare ora è renderle omaggio impegnandomi affinché i libri di storia di domani parlino di lei come di una paladina del popolo.

Non fu facile prendere le successive decisioni. Mettesti il corpo straziato di Emma in un POD di salvataggio e lo lanciasti dritto verso la stella del sistema. Tornasti in fretta da Umbra che aveva raggiunto Sagittarius per continuare i tuoi studi e le raccontasti tutto. Umbra ti fornì uno dei suoi avanzati sistemi di mimetizzazione attiva grazie al quale avresti assunto l'aspetto, la voce e gli atteggiamenti di Emma. Tenendolo sempre attivo, la durata della batteria non sarebbe stata superiore ai 18 mesi. Ti serviva una via di fuga per quel giorno. Umbra propose di inviare un falso segnale in direzione del settore Mare Somnia che sarebbe scomparso 18 mesi dopo fornendoti una scusa per andartene. Tra 16 mesi e 3 settimane da oggi quel segnale sparirà ed io avrò avuto il tempo per ingannare la popolazione e preparare la tua uscita di scena.

Emma sarà l'eroina che partì in cerca della sorella e non tornò mai.

Presa la decisione, Umbra tornò a Colonia e si sottopose ad un intervento per rimuovere il ricordo della nostra conversazione. La sua memoria è stata resettata, se tutto ha funzionato, a subito dopo il nostro incontro per la discussione dei dati che avevo raccolto, pertanto ora persino lei è convinta che io sia in giro a portare avanti i miei studi.

Tra 16 mesi sarò libera di andarmene con il fardello che porto nel petto.

Il sistema di mimetizzazione mi convincerà di essere Emma finché la batteria non si esaurirà.

Non sono certa di quali effetti collaterali possano scaturire dall'uso prolungato e continuativo della mimetizzazione.

Per questo, Monica, ti prego...

Ricordati di me.

Firmato: Monica Adama"

D'un tratto è il buio intorno a me. Prendo lo specchio dal cassetto.
Capelli rossi, un occhio viola ed uno turchese, le rughe di una donna di 43 anni.
Ho cercato Monica per tutto questo tempo e l'ho sempre avuta tra le mani. Emma è morta ormai da un pezzo e mi sento tremendamente colpevole. I ricordi di quel giorno mi assalgono con violenza. Ricordo il suo pianto isterico, ricordo il dolore della ferita al collo, ricordo di essere rimasta a terra, inerme, mentre lei si toglieva la vita con un colpo alla tempia. Ricordo di aver incontrato Umbra a Sagittarius, di aver coperto la ferita con un tatuaggio e di aver infine attivato il sistema di mimetizzazione. Ricordo di essere tornata a Niu Hsing, aver scritto il diario ed aver assunto il ruolo che spettava ad Emma.

Ricordo tutto ed il peso è insostenibile.

Ho chiesto agli altri di aspettarmi sul ponte di comando ma l'urlo che ho emesso deve aver fatto tremare l'intera Entropy perché in un attimo si riversano nei miei alloggi. Mostro loro il diario. Qualcuno piange, altri parlottano. C'è chi si avvicina per consolarmi ma io li allontano. Chiedo di essere lasciata sola. Appena il portello si chiude alle spalle dell'ultimo della fila aziono la chiusura. Mi verso del whisky alla bertrandite. È l'ultima bottiglia rimasta. π è sul divano. Sembra intimorito ma anche consapevole del mio immenso dolore. Gli verso del cibo nella ciotola, ma non si muove, come a non voler turbare gli spiriti che stanno infestando la mia mente, la mia cabina, l'intera Entropy.

La pistola è sul tavolo.
La prendo.
Tolgo la sicura.
Premo il grilletto.

Firmato: _
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